10 Feb Oro forse il peggio è passato
Probabilmente i minimi dell’ampio trend discendente che ha interessato l’oro nell’ultimo paio d’anni sono alle nostre spalle.
Dopo aver raggiunto prezzi al di sotto di 1.200 dollari l’oncia nell’ultima seduta del 2013, le quotazioni hanno iniziato il nuovo anno con una buona intonazione innescando un trend di crescita che le ha portate a recuperare in poco più di un mese un dignitoso 7%.
Nel grafico è possibile osservare la trendline rialzista (linea blu inclinata positivamente) e il superamento della trendline discendente precedente (linea rossa superiore inclinata negativamente).
Ora i prezzi stanno consolidando al di sopra del livello di 1.250 dollari (linea blu orizzontale) e presto cercheranno di forzare nuovamente 1.275 per cercare di portarsi in zona 1.300.
Il cammino appare al momento abbastanza equilibrato e anche se dovesse violare la trendline rialzista per proseguire nel cammino orizzontale di consolidamento non ci si dovrebbe dispiacere dato che è di vitale importanza che si crei a questi livelli una solida base per la ripartenza delle quotazioni.
Deleterio sarebbe invece un ritorno verso 1.225 che aprirebbe un’ulteriore fase di debolezza con possibilità di spinte ribassiste sino a 1.180.
Ma come si diceva in apertura questa eventualità sembrerebbe, almeno per il momento, la meno probabile.
Certo i tori non possono cantare vittoria, la strada verso il paradiso è irta di ostacoli e vi sarà bisogno di molto tempo prima che possano essere riparati i danni causati dal profondo trend discendente di questi anni.
Sul fronte delle banche centrali anche il 2013 si sta chiudendo come un anno di acquisti netti; a novembre 2013 i dati riportavano acquisti per 283 tonnellate, con una contrazione rispetto agli acquisti netti del 2012 per 534,6 tonnellate.
Fra le banche centrali più attive negli acquisti spiccano quella turca (146,7 tonnellate) e quella russa (57,3 tonnellate), a seguire altre banche centrali asiatiche.
Maggior venditore la Germania che ha smobilizzato 4,2 tonnellate.
Proprio la Germania è protagonista di un acuirsi di tensioni diplomatiche con gli Stati Uniti, come risulta dalle indiscrezioni trapelate attraverso gli articoli di Handelsblatt e Die Welt, ripresi in settimana anche dal Corriere del Ticino.
Come si ricorderà, la Germania ha avviato un programma di rimpatrio del proprio oro custodito a Parigi (per 374 tonnellate) e a New York (per 300 tonnellate), il trasferimento durerà otto anni e si concluderà nel 2020. Nel corso del 2013 sono state trasferite 37 tonnellate, ben al di sotto del target annuo, di cui solo 5 tonnellate da New York.
Le motivazioni ufficiali del limitato flusso da New York appaiono poco convincenti, come la necessità di rifondere i lingotti in quanto non conformi alle dimensioni London Good Delivery, uno standard internazionale in vigore da molto tempo; la perplessità consiste nel credere che esistano dei lingotti giacenti nelle camere blindate non aderenti a questi standard.
Poiché il rimpatrio dell’oro tedesco è stato indotto anche da una scarsa disponibilità statunitense ad autorizzare il controllo periodico è abbastanza comprensibile che queste lungaggini sul ritmo del trasferimento possano far nascere più di un dubbio sulla reale consistenza dell’oro presso i caveau della Federal Reserve.
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