04 Dic OPEC in pressing
Nella scorsa settimana, l’OPEC si è riunito a Vienna e ha deciso di estendere a fine 2018 i tagli di produzione di petrolio decisi un anno fa e prorogati a maggio.
A distanza di un anno la condizione di domanda e offerta è radicalmente mutata, non tanto per l’azione concertata del cartello, quanto piuttosto per la crescita sincronizzata a livello globale.
Il contingentamento di petrolio da parte dei membri OPEC e di altre nazioni cooperanti ammonta a 1,8 milioni di barili al giorno, un livello che pareggiava il surplus di inizio 2016 quando la domanda di petrolio ammontava a circa 94 milioni di barili al giorno.
Ai giorni nostri la domanda è di circa 98 milioni di barili al giorno, e pur con un aumento della produzione statunitense il mercato si trova in deficit per circa 1,5 milioni di barili al giorno.
Il risultato è che le scorte dei Paesi Ocse si stanno riducendo concretamente e questo inizia a spingere la pressione sui prezzi, ma prezzi più alti sono anche un incentivo per gli Stati Uniti a produrre di più e importare di meno.
Infatti, rispetto a 12 mesi fa, gli Stati Uniti hanno aumentato la produzione di petrolio dell’11%, a 9,7 milioni di barili al giorno, ridotto le importazioni di greggio del 16%, a 1,8 milioni di barili al giorno, e raddoppiato le esportazioni di distillati a 4,1 milioni di barili al giorno.
Si può ben comprendere che i membri OPEC, pur iniziando a vedere i risultati dei loro sforzi, non possano gioire nel farsi sottrarre quote di mercato da parte degli Stati Uniti.
Dal comunicato stampa dell’accordo del 30 novembre a Vienna non traspare il nervosismo che cova dietro le quinte, se non nel passaggio in cui si citano le incertezze associate all’offerta e alla crescita della domanda per lasciare aperta la porta a una valutazione a giugno 2018 “sull’opportunità di ulteriori azioni di aggiustamento in base alle condizioni di mercato e ai progressi compiuti verso il riequilibrio”.
Sul fronte dei prezzi la pressione della domanda si fa sentire, il Brent in verde nel grafico ha già maturato una condizione di backwardation (quotazioni a breve più alte di quelle a medio termine, che non tengono quindi conto dei costi di stoccaggio), mentre il WTI, in rosso, presenta un’inclinazione in backwardation pur conservando il contango nella prima scadenza (quotazione a pronti più bassa rispetto alla scadenza successiva, in coerenza con i maggiori costi dello stoccaggio).
In pratica il mercato sta esercitando una pressione rialzista sulle quotazioni, esprimendo la necessità di maggiore petrolio a breve termine.
Non è una questione speculativa, barili di carta direbbero alcuni, ma proprio di ricerca di equilibrio con una domanda che sovrasta l’offerta.
Lo vediamo bene nel grafico delle quotazioni al CME, dove il petrolio WTI mostra ormai una chiara connotazione rialzista.
La tradizionale usanza del “sell on news” (vendi sulla notizia) successiva alla decisione OPEC pare già riassorbita e la seduta di venerdì ha segnato un progresso superiore al punto e mezzo percentuale.
Quotazioni toniche, quindi, che dovrebbero mantenere i prezzi al di sopra dei 55 dollari il barile e in oscillazione tra 57 e 60-62 dollari per la prossima decade.
PORTA UN ESPERTO DI ECONOMIA NELLA CONVENTION DELLA TUA AZIENDA
Gli analisti della Mazziero Research possono contribuire al successo del tuo evento portando la loro esperienza sull’economia italiana e globale e sui mercati finanziari.
Contattaci subito qui
Sorry, the comment form is closed at this time.