31 Ago L’orso gioca col barile
Al petrolio sono bastate due sedute per recuperare il 16%.
Semplice rimbalzo tecnico o inversione della tendenza che negli ultimi due mesi ha spinto i prezzi da 61 a 38 dollari con una perdita del 40%?
La discesa è stata pesante e non ha lasciato nessun momento di respiro a quanti avevano velleità rialziste, quindi era abbastanza fisiologico assistere a un rimbalzo. Tuttavia le ricoperture sono state violente, un chiaro segno che anche gli orsi non si trovavano più a loro agio con dei livelli di prezzo di questo genere.
Ora la zona di 45 dollari potrebbe costituire già un bel traguardo, ma non è escluso che i tori cercheranno di avvicinarsi verso la zona dei 50 dollari; difficile e irrealistico per il momento aspettarsi di più, in particolar modo se si valutano gli aspetti fondamentali.
I livelli delle scorte negli Stati Uniti, seppur in calo ormai da diverso tempo, restano del 30% superiori alla media degli ultimi 5 anni (fascia grigia nel grafico).
Sempre secondo il Dipartimento dell’Energia statunitense nei mesi di giugno e luglio si sono prodotti mediamente 90,6 milioni di barili al giorno, mentre se ne sono consumati 90 milioni. Un’eccedenza di oltre mezzo milione di barili che, da qualche parte nel mondo, giorno dopo giorno continuano ad accumularsi.
Ma non è cambiato solo l’equilibrio tra domanda e offerta, anche i costi di produzione dello shale oil continuano a ridursi in modo strutturale. Se si esamina il conteggio delle torri di trivellazione negli Stati Uniti (grafico a istogramma blu, scala di sinistra) confrontandolo con l’andamento settimanale del prezzo del petrolio (grafico lineare rosso, scala di destra) possiamo osservare che gli impianti in funzione sono scesi sino a metà giugno per poi tornare a salire anche a dispetto di un prezzo del WTI in calo.
Sebbene sia abbastanza comprensibile che le torri di trivellazione non si accendono e spengono come una lampadina, ci troviamo di fronte al fatto che il livello tecnologico nelle estrazioni dello shale oil è in continuo progresso e tende a rendere profittevoli molte trivellazioni anche a questi prezzi.
Ovviamente lo shale oil non costituisce una risorsa di petrolio destinata a durare infinitamente, la velocità di svuotamento dei pozzi è nota, ma senza dubbio consente di guadagnare tempo per affiancare all’oro nero fonti energetiche alternative per infiniti scopi, in particolar modo per l’autotrazione.
A questo punto la disputa si trasferisce sui tavoli dell’Opec, l’Arabia Saudita, pressata anche dalla disperazione di Venezuela ed Ecuador, ha ben compreso che non resta che tagliare la produzione nel tentativo di ridare sostegno ai prezzi, ma non mancheranno le spinte dell’Iran che desira ritornare alle proprie quote di produzione.
Questa guerra dei prezzi, iniziata proprio dall’Arabia Saudita, rischia di ritorcersi contro e creare i germi per nuove tensioni diplomatiche tra i paesi del Golfo.
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