Energia, Rischio Geografico e Shale Oil

Energia, Rischio Geografico e Shale Oil

Uno dei primi articoli pubblicati su questo sito, Energia, Rischio Paese e Rischio Geografico, ha esaminato alcuni possibili investimenti nel campo energetico, cercando di identificare le criticità per ciascuna tipologia.

Sembra opportuno ritornare su questo argomento perché ci sono stati diversi sviluppi nell’ultimo anno che meritano un commento. Nell’articolo citato, la mancanza di oleodotti adeguati per trasportare le vaste riserve di petrolio dallo stato dell’Alberta (Canada) verso uno sbocco di mercato negli USA, oppure sulla costa occidentale del Canada, è stato identificato come un “rischio geografico”.

In questi giorni, la triste e allarmante notizia dell’esplosione di un “oil train”, ovvero un treno di trasporto per il petrolio, in un piccolo paese nel Quebec metterà sotto i riflettori questo tema. Secondo Barclays Capital, la capacità di esportazione ferroviaria dal Canada aumenterà da 120 mila barili al giorno alla fine del 2012 a 300 mila barili al giorno nel 2014. Questo aumento del trasporto ferroviario, insieme all’inaugurazione di una nuova raffineria in Indiana (Whiting) dedicata al tipo di petrolio proveniente dall’Alberta, ha aiutato ad abbassare lo spread tra il petrolio dell’Alberta (Western Canadian Select) e il WTI da $42 a fine 2012 a circa $15 attualmente.

Ci si augura che l’incidente favorisca un rinnovato impegno verso la costruzione di nuovi oleodotti, che si tratti del molto discusso Keystone XL, che porta il petrolio verso il centro degli USA, da dove può trovare sbocco nelle raffinerie del Golfo del Messico, oppure del Northern Gateway nel British Colombia (si veda la mappa nell’articolo sopracitato). Entrambi questi progetti sono bloccati al momento a causa delle varie obiezioni promosse da ambientalisti e comunità locali.

Se la situazione si dovesse sbloccare, sarà tutto a vantaggio dei produttori canadesi, che vedranno diminuire i costi di trasporto dall’attuale $20 per barile (trasporto ferroviario) a circa $5 con un oleodotto; nel contempo è innegabile che l’oleodotto sia più sicuro rispetto al trasporto ferroviario.

Il “Shale Gale” (burrasca dello shale)

In questo contesto, però, è giunto un fattore nuovo e inaspettato, nella forma della ripresa della produzione americana. Questo aumento di produzione è stato reso possibile dalle nuove tecnologie d’estrazione, in particolare la fratturazione idraulica (conosciuta con il diminutivo “fracking” in inglese), che ha permesso l’estrazione del cosìdetto “shale oil”, nonché del gas naturale. Il grafico della produzione 2012-13 rispetto alla produzione 2011-12 rende l’idea (Grafico 1). La conseguente diminuzione delle importazioni USA (Grafico 2) ha spinto alcuni esperti a prevedere “l’indipendenza energetica USA”

Grafico 1: Produzione di petrolio negli USA (Fonte: EIA) – cliccare per ingrandire

Grafico 2: Importazione di petrolio negli USA (Fonte: EIA– cliccare per ingrandire

Rimane tutto da vedere se gli USA arriveranno all’indipendenza energetica, soprattutto considerando che il massimo della produzione USA fu nel 1970 a 9,637 milioni di barili al giorno (ovvero 2,4 milioni di barili al giorno superiore all’attuale produzione giornaliera) e attualmente le importazioni rimangono al livello non proprio trascurabile di 8 milioni di barili al giorno.[1]

La cosa più curiosa, però, è il ritorno della curva del WTI in backwardation (si veda la linea rossa nel Grafico 3), rispetto alla situazione normale nell’ultimo paio di anni rappresentato dalla linea blu. La condizione di backwardation è solitamente associata ad una forte tensione sul mercato, dove un premio viene riconosciuto per la pronta consegna del petrolio.

Grafico 3: Curve di petrolio (Fonte: Dati CME Group) – cliccare per ingrandire

Ci sono varie spiegazioni per questo fenomeno (tensioni nel medio oriente ecc), ma è bene considerare il significato della parte lunga della curva. Che cosa vorrà dire avere un prezzo a termine nel 2015 di $85 per barile? Per i produttori USA, significa arrivare vicino alla soglia di convenienza per lo sviluppo di nuovi giacimenti. Un fattore innegabile del fracking è che si tratta di una tecnologia impegnativa a livello di costi. Lo studio di Leonardo Maugeri, che sostiene la tesi di un forte aumento della produzione petrolifera nei prossimi decenni, indica il livello di $70 al barile come critico per garantire la produzione da nuove fonti come quella dello shale oil. Per le società che vogliono finanziare lo sviluppo di nuovi giacimenti, il prezzo a cui fanno riferimento è quello a termine, non quello a breve. La considerazione più importante quindi è che i prezzi a pronti indicano una certa tensione sul mercato, mentre quelli a termine probabilmente non potranno calare oltre il 10 – 15% dai livelli attuali senza mettere in discussione la rinascita della produzione USA.

 

[1] Dati dell’Energy Information Administration 

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Andrew Lawford
andrew@mazzieroresearch.com
2 Comments
  • Pingback:USA, tra indipendenza energetica e rischi ambientali | Capire davvero la crisi
    Posted at 15:43h, 09 Luglio

    […] Riportiamo qui di seguito un’articolo per gentile concessione del MazzieroResearch […]

  • Pingback:Guerra in Siria e prezzo del petrolio | Capire davvero la crisi
    Posted at 13:51h, 14 Gennaio

    […] Nell’ultimo anno la comunità finanziaria si è cullata nella convinzione di: • Una futura indipendenza energetica degli Stati Uniti. • Una prospettiva di bassi prezzi del petrolio. Due aspetti emersi grazie ai nuovi metodi di estrazione di gas e petrolio non convenzionale. In realtà: • La sostenibilità dei volumi di produzione di questi metodi è tutta da accertare. • Si tratta di produzioni che richiedono un prezzo del petrolio elevato (maggiore agli 80 dollari). Si veda anche l’articolo Energia, rischio geografico e shale oil. […]