24 Set Enel – un affare italiano?
Nel contesto di molti osservatori che evidenziano la sottovalutazione di titoli europei in generale, e titoli italiani in particolare, si è deciso di approfondire la situazione di una società quotata molto importante per l’investitore italiano, sia a livello azionario, sia a livello obbligazionario. Enel non ha bisogno di introduzioni, possiamo quindi partire subito con l’analisi.
Come è noto a tutti, Enel ha seguito una politica di espansione estera negli ultimi anni, culminando nell’acquisizione di Endesa, dove è arrivata al 92% dell’azionariato nel corso del 2009. Il primo commento, quindi è relativo all’espansione della società e l’effetto sulla sua redditività. La Figura 1 evidenzia l’andamento degli attivi totali (linea verde) di Enel dal 2003 fino alla prima metà di 2012; da una società da poco più di 60 miliardi di euro nel 2003, si è arrivati a poco meno di 175 miliardi al 30 giugno 2012. Questa espansione senza freni è già un motivo di preoccupazione in quanto significa una vera rivoluzione rispetto alla società che esisteva 9 anni fa. Che queste preoccupazioni siano fondate è evidente nella linea rossa di Figura 1: il dato ROA (return on assets, ovvero gli utili netti divisi per gli attivi e espressi come percentuale) mostra chiaramente che da un massimo dell’8% nel 2005, si è deteriorato a meno del 3%, considerando gli utili (annualizzati) per la prima metà del 2012. Ci sono sicuramente molti motivi per questo calo della redditività per Enel, ma una cosa in generale è da notare: è molto difficile gestire un’impresa, ancora più difficile è espanderla con successo. È curioso anche che la redditività più alta per Enel è avvenuta nell’anno in cui gli attivi erano al loro livello più basso.
Un secondo aspetto ben noto di Enel è il suo indebitamento. La politica d’espansione è costata più della redditività della società; anche la sua solidità patrimoniale è stata messa in discussione. Attualmente la leva finanziaria della società, espressa come percentuale dell’indebitamento rispetto agli attivi tangibili, si aggira intorno all’88%, un livello poco rassicurante per l’investitore prudente. La Figura 2 evidenzia il livello di copertura della spesa per gli interessi passivi nel corso degli anni. Il livello di copertura si calcola dividendo l’EBIT (utili prima della spesa per gli interessi e le imposte) per la spesa per gli interessi. Più alto è questo numero e più solida è la società: le quasi 6 volte del 2005 sono un sogno, mentre il livello degli ultimi anni, intorno a 2, non è motivo per stare tranquilli come investitori.
È anche interessante analizzare il livello di indebitamento finanziario lordo che Enel deve reggere (Figura 3): nonostante l’impegno, almeno a parole, di ridurre l’indebitamento finanziario durante gli ultimi anni, si è segnato un nuovo record il 30 giugno 2012, con 67,4 miliardi di euro. Si è deciso di analizzare il dato lordo invece che quello netto per il semplice motivo che i contanti che possiede Enel non riducono l’indebitamento fino al momento in cui vengono usati precisamente per quello scopo (e cioè, quando vengono dedicati al rimborso dei prestiti contratti). Si potrebbe quasi pensare che Enel sia entrata nel meccanismo del debito strutturale che sta creando così tanti problemi per l’azionista di riferimento del gruppo (lo Stato italiano). Attualmente, Enel ha un costo medio dell’indebitamento pari al 4,9% e una scadenza media di 6 anni e 7 mesi. È lecito domandarsi per quanto tempo ancora godrà di condizioni di finanziamento così benigne.
È l’opinione dell’autore che anche il mercato in cui opera Enel potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. La saggezza della borsa è che il settore delle “utility”, ovvero i fornitori di elettricità, acqua e altri servizi del genere, gode di una posizione privilegiata in termini di stabilità dei ricavi nel tempo. Questo è indubbiamente vero, ma bisogna anche tener presente la sensibilità politica dei servizi di prima necessità. Come si è visto recentemente in Grecia, le utility possono essere coinvolte in certe manovre fiscali che non giovano alla salute della utility in questione. Se la crisi economica in Italia e/o Spagna dovesse peggiorare notevolmente, al punto che molte persone che appartengono alle fasce più deboli della società non riuscissero a pagare la bolletta, non ci sarebbe da stupirsi se le società come Enel fossero obbligate a fornire i loro servizi a condizioni anti-economiche. Questo scenario, pur essendo poco auspicabile e, si spera, poco probabile, tuttavia non può essere escluso. Enel è intimamente legata ai paesi in cui opera e non sarebbe in grado di dislocare le sue attività, come potrebbero fare altre grandi industrie attualmente presenti nel territorio italiano/spagnolo. Enel deve anche fare i conti con il fatto che sia l’Italia sia la Spagna sono paesi poveri a livello di fonti energetiche primarie; aspetto che potrebbe essere un (altro) tallone d’Achille in certi scenari di crisi energetica.
Il prezzo
Si potrebbe sostenere che tutti i fattori evidenziati finora sono già ampiamente scontati nel prezzo e che il calo delle quotazioni delle azioni Enel l’hanno portata in una zona di valore. È l’opinione di chi scrive, però, che non esiste un prezzo abbastanza basso da rendere una società sovraindebitata un buon investimento (si veda anche l’articolo: “Come scegliere i propri investimenti azionari“). Quindi, si può ragionare soltanto in merito all’opportunità che offre Enel a livello di speculazione. In questo contesto, si riportano due fatti importanti:
- il taglio del dividendo grazie alla decisione di pagare soltanto il 40% degli utili netti agli azionisti toglierà un certo supporto che un dividendo più alto poteva dare al titolo.
- in termini di attivi tangibili netti, Enel vale € 1,68 per azioni, secondo i dati al 30 giugno di questo anno.
In conclusione, si invita a riflettere bene prima di considerare Enel come speculazione, molto meno come investimento o come emittente solida per le obbligazioni da cassettista. Si potrebbe pensare che nel caso di problemi dal punto di vista patrimoniale Enel possa sempre fruire di un paracadute fornito dall’azionista di riferimento, ma non bisogna dimenticare che lo stesso azionista sta ora attraversando un periodo di non facile gestione del debito.
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