23 Mag Come sopravvivere al Financial Repression
Il Financial Repression è un insieme di manovre messe in atto dal governo di un paese per cercare di smaltire un eccessivo indebitamento. In questo articolo, a parte un elenco delle manifestazioni più comuni di financial repression, si cercherà di affrontare le conseguenze per gli investitori che si trovano in una nazione che ha attuato questa politica. Per approfondire le motivazioni di certe decisioni prese dai governi in questo contesto, si consiglia una lettura dell’articolo “Financial Repression come soluzione al debito”, pubblicato nell’Osservatorio del Debito Pubblico relativo all’anno 2011, alla pagina 27. L’articolo, scritto dai nostri colleghi economisti di ideashaveconsequences.org, spiega chiaramente lo scopo di un governo che attui una politica insidiosa di questo genere.
Gli ingredienti del Financial Repression
In sintesi, financial repression consiste nella politica di “dirottare” investimenti che sarebbero stati effettuati altrove verso il debito sovrano di uno stato.
Per arrivare a questo scopo, possono essere impiegate una combinazione delle seguenti modalità:
- Creare un mercato vincolato, o comunque fortemente incentivato all’acquisto del debito sovrano di una nazione;
- Limitare l’aumento dei tassi d’interesse sui titoli di debito;
- Controllare i flussi di capitale verso l’estero;
- Aumentare i legami tra lo stato e le banche presenti sul territorio (il legame può essere di proprietà, cioè, che lo stato possiede delle quote importante del capitale di una o più banche, oppure un legame occulto creato attraverso la manipolazione politica);
- Aumentare i requisiti di liquidità o riserve nel sistema creditizio;
- Introdurre o aumentare le imposte sulle transazioni finanziarie;
- Vietare gli acquisti dell’oro;
- Emettere titoli di stato che non possono essere negoziati in un mercato secondario.
Per essere particolarmente efficace, è utile combinare l’inflazione con il financial repression. Il fenomeno dell’inflazione è fortemente legato alla limitazione dei tassi d’interesse sui titoli di stato; il risultato è che i tassi d’interesse passeranno dei periodi con dei rendimenti reali negativi.
Benché non ci siano tutti gli ingredienti del financial repression in Italia e in altri paesi europei, è facile intuire che questo è lo schema principale delle misure adottate per combattere la crisi attuale. Senza cercare di fare un elenco esaustivo, consideriamo questi avvenimenti recenti:
- Nazionalizzazione banche Regno Unito
- Nazionalizzazione/smembramento Dexia (Belgio/Francia)
- Tremonti Bond
- Superbollo sui depositi titoli (in pratica una tassa patrimoniale)
- Tasse patrimoniali attività estere
- Imposte preferenziali 12,5% per titoli di stato (italiani e non)
- Operazioni LTRO, nonché acquisto di titoli di stato (BCE)
- Operazioni Quantitative Easing (Bank of England)
- Introduzione di Basilea III (aumento requisiti di liquidità, preferenza per debito sovrano)
- Discussione di tasse sulle transazioni finanziarie (Tobin Tax ecc…)
Come si diceva: non tutti gli ingredienti sono presenti, ma lo schema generale è relativamente chiaro.
Perché l’investitore deve preoccuparsi?
La distorsione ai mercati
Qualsiasi distorsione ai mercati è un fattore negativo per l’investitore. E, siccome in questo caso la distorsione esiste per smaltire l’indebitamento eccessivo di un certo soggetto (lo stato), il costo della distorsione è sostenuto dai creditori (gli investitori che hanno acquistato titoli di stato o strumenti di debito in genere).
Ovviamente si potrebbe obiettare che i tassi d’interesse sui titoli di stato italiani siano a buoni livelli considerando l’esplosione dei rendimenti avuto nel corso del 2011. Il punto, però, è che i tassi italiani di oggi sono manipolati dalla BCE; in un mercato libero, sarebbero sicuramente più alti. Non bisogna neanche dimenticare che i tassi che contano veramente per l’investitore sono i tassi reali netti (cioè, al netto dell’inflazione e delle imposte). In questo senso, un BTP decennale che rende un tasso lordo intorno al 5,7% al momento della stesura di questo articolo, una volta decurtato delle imposte (al 12,5%) e dell’inflazione al 3,3% (ultimi dati ISTAT disponibili), lascia l’investitore con un tasso reale netto di appena l’1,7% l’anno. Questo 1,7% deve compensare per il rischio emittente, nonché il rischio di un aumento d’inflazione nell’arco dei prossimi 10 anni, due rischi sicuramente non trascurabili. L’investitore italiano che preferisce la sicurezza dell’emittente migliore della zona Euro, ovvero la Germania, può contare al momento di pubblicazione di questo articolo su un tasso lordo intorno all’1,43%, che diventa un tasso reale netto del -2,05%.
Il rischio di altre “manovre”
Purtroppo, le possibilità per uno stato di appropriarsi degli averi dei propri cittadini sono limitate soltanto dalla fantasia dei suoi governi. In questo ultimo anno, sono state proposte delle “soluzioni” di ogni tipo alla crisi del debito pubblico italiano; addirittura qualche commentatore illuminato ha suggerito l’accensione di mutui ipotecari di durata centennale su tutti gli immobili italiani, con il ricavato utilizzato per abbattere il debito! Sicuramente, la strada che piace di più allo stato è quello che suscita meno resistenza tra la popolazione (non bisogna dimenticare mai che l’unica cosa a cui veramente ci tiene un politico è essere rieletto – una regola mondiale e non solo italiana) ed è anche per questo che il financial repression è così gettonato. I suoi effetti sono graduali e quasi impercettibili; apparentemente non perde nessuno, ma in realtà perdiamo tutti. Però, se arriverà un giorno in cui il financial repression non basterà, è meglio esserci preparati.
Il ragionamento di fondo nell’attuale situazione dovrebbe essere:
Sperare per il meglio, ma prepararsi per il peggio.
In pratica, questo significa in primo luogo ragionare su una diversificazione geografica dei propri risparmi. Non si intende semplicemente l’acquisto di titoli negoziati all’estero tramite la propria banca in Italia, ma l’apertura di un conto corrente e deposito titoli in un altro paese, preferibilmente il più stabile possibile e sicuramente fuori dalla zona Euro. Due suggerimenti sono Norvegia e Singapore, nazioni che godono di una stabilità politica ed economica senza rivali al mondo. Ovviamente, c’è anche la Svizzera e, in particolare, la piazza di Lugano per chi vuole rapportarsi con la propria banca in lingua italiana (negli altri due paesi bisogna parlare piuttosto bene l’inglese), ma è opportuno informarsi bene sui costi per non avere delle brutte sorprese. La Svizzera è specializzata in private banking, che tradotto in italiano significa “banche normali, ma con costi più alti”.
Aspetti legali
È da tenere presente che mandare dei soldi fuori dall’Italia non è un reato, ma bisogna rispettare una normativa relativamente complessa. Per questo motivo, è consigliabile rivolgersi a un commercialista ben preparato in materia. Ovviamente il fatto di dover sottostare alle regole di monitoraggio fiscale è una preoccupazione in più, ma sembra il meno dei due mali se le cose dovessero andare per il peggio in Italia. In qualsiasi caso, anche se non ci fosse la crisi attuale, sarebbe prudente attuare una certa diversificazione geografica dei propri risparmi.
Il passo successivo
Una volta diversificata adeguatamente a livello geografico, bisogna ragionare su che cosa investire. Nella sezione sulla distorsione dei mercati, si è evidenziato l’effetto del financial repression sugli investimenti in titoli di stato. La prima cosa da esaminare, quindi, è la propria esposizione obbligazionaria, cercando soprattutto di limitare gli investimenti nella parte lunga della curva dei rendimenti. Il consiglio principale è di ridurre il peso obbligazionario gradualmente, reinvestendo in altre categorie d’investimento (si veda sotto), quando le condizioni di mercato lo permettono. Per ciò che viene tenuto in obbligazioni o liquidità, si può cercare di investire in titoli emessi da emittenti relativamente sicure, ma senza superare i 3 – 5 anni di durata. Per portafogli più grandi, sarebbe opportuno tenere titoli che scadono progressivamente, forse ogni 6 mesi, per avere sempre in prospettiva l’arrivo di nuova liquidità da investire.
Per chi ha esaminato il contenuto del sito della Mazziero Research, non si sorprenderà di sentire suggerire l’oro come uno strumento interessante per difendersi dal financial repression. La ricerca “L’oro è gli strumenti d’investimento” è quello che Mazziero Research ha concepito per approfondire questo tema.
I titoli azionari sono un’altra possibilità, ma sono da preferire quelli emessi da aziende di comprovate qualità (nel senso di aver mostrato la capacità di produrre utili con una certa stabilità nel corso degli anni) e che offrono buoni rendimenti da dividendi. Questi dividendi spesso crescono di anno in anno e offrono quindi un ottimo modo per combattere gli effetti peggiori del financial repression. Quando le condizioni di mercato sono in una fase negativa, si possono accumulare gradualmente titoli di questo genere.
Per chi avesse la possibilità e le conoscenze tecniche, la speculazione in commodity può offrire l’occasione per migliorare il rendimento complessivo del proprio portafoglio.
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Gli articoli e le analisi in vendita sul sito di Mazziero Research tengono sempre conto dei fattori menzionati sopra, perciò si consiglia di tornare spesso per trovare i vari suggerimenti specifici che verranno pubblicati nel corso del tempo. Ricordiamo che è possibile iscriversi alla nostra newsletter gratuita inserendo la propria mail nell’apposita casella in fondo a questa pagina.
Bibliografia
Financial Repression Redux (Reinhart, Kirkegaard, Sbrancia)
Italia 2011 un anno di sofferenza (Mazziero Research)
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