Come affrontare il tema delle ritenute estere

Come affrontare il tema delle ritenute estere

In questo articolo si cercherà di ampliare un discorso già affrontato da due lettori del sito di Gabriele Bellelli, il Rag. Pio Saponi e Dott. Lorenzo Saponi di Rimini. Ringrazio tutti e tre per il permesso di riprodurre qui il loro articolo. Le mie considerazioni aggiuntive, che sono frutto della mia esperienza personale (e non, quindi, il parere di un esperto in fiscalità internazionale), seguono in fondo.

 

Doppia tassazione sui dividendi esteri

Mercoledì 11 Luglio 2012 10:54

Oggi pubblico uno scritto molto interessante, chiaro ed esauriente sul problema della doppia tassazione dei dividendi esteri scritto da due miei lettori che ringrazio per la collaborazione !

“Ti scriviamo per portarti all’attenzione un’interessante questione relativa alla DOPPIA TASSAZIONE SUI DIVIDENDI azionari di società estere ( vendi anche il bell’articolo de “Il Sole 24 Ore” riportato in fondo a questo articolo ), di cui ci siamo dovuti occupare personalmente di recente, in quanto deteniamo in portafoglio azioni della compagnia assicuratrice tedesca “Allianz”.

Come senz’altro saprai, i dividendi esteri sono assoggettati a doppia tassazione: prima “alla fonte” (ossia nel paese di residenza della società che li distribuisce, cd. “ritenuta paese”); poi, sull’ammontare netto è applicata la ritenuta italiana.

Sicché, nel nostro caso, dapprima abbiamo subìto sul dividendo lordo la tassazione tedesca (pari al 26,375%); e successivamente quella italiana (20%).

Per attenuare l’effetto della doppia tassazione, le “Convenzioni Internazionali contro le doppie imposizioni” fissano in genere un limite massimo all’imposta nel paese da cui provengono i dividendi erogati.

Nel caso di specie, le convenzioni “Germania-Italia” prevedono in tal senso l’applicazione di una aliquota convenzionale massima pari al 15%: quindi, il rimborso spettante è pari al 11,375% del dividendo lordo (cioè: 26,375% – 15% = 11,375% , appunto).

Ciò detto, abbiamo dovuto avanzare la richiesta di rimborso: in verità, non agevole; e, pertanto, ciò ha portato ad un rilevante dispendio di tempo, in quanto:

A) non tutti gli intermediari si occupano di effettuare questo servizio (come la nostra banca, che si occupa solamente, peraltro a pagamento [30 euro], delle pratiche relative all’esenzione della “ritenuta paese” sulle cedole obbligazionarie; vedi, per es., bond Portoghesi, che noi stessi deteniamo; d’ora in avanti, al fine di risparmiare il costo della pratica sui bond Portoghesi, ce ne occuperemo personalmente noi, dato che oramai abbiamo capito l’iter da seguire), e quelli che lo forniscono generalmente lo fanno a pagamento (il costo della pratica per i dividendi esteri si aggira sui 120-130 euro; pertanto, prima di inoltrare richiesta di rimborso è consigliabile verificare che il totale dei costi amministrativi da sopportare non sia superiore all’imposta netta recuperabile, perché in caso contrario la richiesta, di fatto, si tradurrebbe in un maggior onere);

B) il sito web dell’Agenzia delle Entrate Italiana mette a disposizione i moduli “tax claim” di richiesta di rimborso solo per ad alcuni paesi (Austria, Paesi Bassi, Francia, Portogallo, Danimarca); quindi, per reperire il modulo “tax claim” tedesco, dapprima abbiamo dovuto richiedere chiarimenti, via e-mail, presso il sito web dell’Ambasciata Tedesca in Italia (settore: Ufficio Affari Economici), che gentilmente e molto dettagliatamente ci ha indicato il percorso da seguire sul sito internet dell’Ufficio Federale Centrale Tributario Tedesco per scaricare il modulo in argomento e l’indirizzo dell’Ufficio Fiscale a cui recapitare in Germania ridetto modulo;

C) il modulo è scritto in inglese, dunque bisogna “un po’ arrangiarsi con la lingua”;

D) abbiamo dovuto effettuare il conteggio dell’importo rimborsabile (calcolo, in effetti, non complicato, ma che comunque richiede sempre dispendio di tempo);

E) alla richiesta di rimborso va allegata la certificazione della banca atta a comprovare il prelievo effettivo della “ritenuta paese”; quindi, abbiamo dovuto richiedere alla nostra banca tale certificazione;

F) ci siamo dovuti recare all’Ufficio di Rimini dell’Agenzia delle Entrate, per far vidimare il modulo “tax claim”, che viene vidimato dal direttore dell’ufficio (grazie ad un funzionario gentile e competente, siamo riusciti ad ottenere la vidimazione in 3-4 giorni);

G) ultimo “step”, ci siamo recati alle Poste per l’invio della raccomandata internazionale a/r in Germania (costo complessivo raccomandata 7,15 euro).

(Il gioco vale comunque la candela nel nostro caso, perché dobbiamo recuperare 361,00 euro di maggiore “ritenuta Paese”; che, stando alle convenzioni internazionali, è rimborsabile nella tempistica massima di 4 mesi).

… adesso capiamo perché l’articolo de “Il Sole 24 Ore” ( riportato in fondo a questo articolo ) titola:

Cinque miliardi regalati al fisco degli altri paesi”

(tra l’altro, nel trafiletto sottostante l’articolo si dice che la percentuale di recupero della doppia tassazione sui dividendi è bassa anche tra gli investitori istituzionali).”

Rag. Saponi Pio e Dott. Saponi Lorenzo ( Rimini )

L’articolo del Sole24Ore a cui fa riferimento il testo precedente è il seguente:

Cinque miliardi regalati al fisco degli altri paesi

di Gianfranco Ursino

Cinque miliardi di euro dimenticati ogni anno dai cittadini italiani nelle casse del fisco di altri paesi. Non si tratta del mancato gettito reclamato a più riprese dal ministro Giulio Tremonti in sede comunitaria per la dubbia applicazione dell’euroritenuta: la tassa che andrebbe prelevata sui rendimenti dei capitali italiani depositati nelle banche di stati esteri in cui vige il segreto bancario e versata, in gran parte, anonimamente all’erario italiano. La cospicua regalia, stimata da GlobeTax (vedi intervista in pagina), trae in realtà origine da un altro meccanismo fiscale, la cosiddetta doppia tassazione sui dividendi/interessi di titoli esteri.

Il guadagno derivante da un investimento internazionale oltre ad essere tassato nel paese di residenza dell’investitore, subisce un’imposizione anche nel paese d’investimento, con aliquote che possono arrivare fino al 35%. Un duplice prelievo fiscale che decurta in misura significativa il ritorno dell’investimento. Nel caso estremo di un dividendo elargito da una società svizzera a un soggetto italiano, per ipotesi di 100 euro, il fisco elvetico trattiene subito 35 euro. In Italia arrivano i restanti 65 euro che sono nuovamente tassati al 12,5%. Sul conto del cittadino italiano vengono quindi accreditati solo 56,88 euro, che si traduce in un salasso fiscale nell’ordine del 43%.

Accordi sconosciuti/trascurati

In realtà, o forse sarebbe meglio dire in teoria, l’investitore ha il diritto di recuperare una parte delle tasse trattenutegli all’estero. Un diritto sancito dalle convenzioni internazionali per evitare, o quantomeno ridurre, le doppie tassazioni. L’Italia ha stipulato più di 80 accordi bilaterali che prevedono di norma per gli investitori non residenti un’aliquota del 15% sui dividendi, che scende al 10% sugli interessi delle obbligazioni societarie, fino ad azzerarsi sulle cedole dei bond governativi. Tutte aliquote derivanti dal trattato standard redatto dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). E tornando all’esempio numerico, l’investitore italiano potrebbe quindi recuperare il 20%, pari a 20 euro, del valore del dividendo iniziale.

Ma far valere questo diritto oltre a non essere semplice, spesso è ignorato o non incentivato dagli stessi intermediari che dovrebbero in realtà aiutare l’investitore ad attivare il processo di recupero. Su scala mondiale, ma anche a livello italiano, la percentuale di rimborsi di doppie imposizioni sui dividendi non supera il 10% del totale prelevato dal paese straniero.

Il ruolo delle banche

Per attivare il rimborso della quota di imposta pagata al l’estero è necessario presentare domanda all’amministrazione finanziaria estera competente, su moduli appositamente predisposti. Occorre allegare certificazione di residenza fiscale rilasciata dall’Agenzia delle entrate e la contabile della propria banca in cui si evidenzia la ritenuta alla fonte applicata al l’estero. I moduli, che variano da paese a paese, sono disponibili presso l’Agenzia delle entrate, ma anche le banche dovrebbero possederlo. Usare il condizionale è d’obbligo, alla luce delle segnalazioni pervenute negli anni a «Plus24» che evidenziano le risposte evasive che ricevono allo sportello.

Ma quali sono gli obblighi delle banche nei confronti dei clienti in tema di recupero della doppia tassazione? Dipende dal tipo di contratto firmato dall’investitore con il proprio istituto di credito. Di norma le banche non lo propongono perchè per loro rappresenta un costo, ma la clientela danarosa riesce a volte a farsi inserire nel contratto anche l’offerta di questo servizio. Per i piccoli risparmiatori, invece, non rimane che intraprendere la tortuosa via dell’auto-recupero o affidarsi a qualche società specializzata pagando una percentuale di quanto recuperato. E coloro con redditi inferiori a 70mila euro, che prima delle modifiche introdotte proprio dalla legge delega Tremonti n°80 del 2003 avevano la convenienza e la facilità di compensare in sede di dichiarazione ritenute subìte nel paese di origine del dividendo, adesso non hanno più neanche tale possibilità. Con la felicità delle casse statali dei paesi esteri.

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Considerazioni aggiuntive

È importante specificare che non tutti i paesi operano delle ritenute superiori a quelle convenzionali con il paese di residenza dell’investitore. Infatti, la situazione più comune è quella in cui la ritenuta convenzionale (solitamente pari al 15% per dividendi e 10% per interessi/cedole) venga applicata automaticamente. Prendendo come esempio la distribuzione di un dividendo, l’investitore residente in Italia subisce la ritenuta estera del 15%, più il 20% di imposte italiane applicate sul netto frontiera (il dividendo al netto delle ritenute estere), ovvero una pressione fiscale del 32%. -1-

Ovviamente questa situazione è sempre penalizzante rispetto a un investimento analogo effettuato in Italia, ma può essere accettabile quando si considera il beneficio della diversificazione internazionale.

La domanda sorge spontanea: come mai alcuni paesi applicano delle ritenute più alte del dovuto? È una questione di scelta: identificare il paese di residenza di un investitore è una cosa relativamente semplice per il pagatore di un dividendo o di una cedola, dato che tutte le informazioni necessarie sono già disponibili grazie allo stato avanzato dell’informatica finanziaria. È chiaro che scelte di questo genere sono fatte soltanto con l’obiettivo di penalizzare l’investitore residente all’estero, una cosa che aumenta, di conseguenza, l’home bias (il fenomeno in cui gli investitori tendono a favorire investimenti nel proprio paese di residenza).

Si considera inoltre che sono soprattutto gli altri stati membri dell’Unione Europea che operano questo sistema palesemente ingiusto nei confronti dei piccoli investitori. Nell’articolo sopra menzionato si ha l’esempio della Germania, ma anche la Francia opera una ritenuta del 30% (aumentata dal 25% all’inizio del 2012), quando dovrebbe trattenersi soltanto il 15%. Anche nel caso in cui si segua tutto l’iter burocratico per ottenere il rimborso, quante persone poi si ricordano di includerlo nelle dichiarazioni dei redditi? -2-

Di fatto questo sistema vessatorio è contro il principio della libera circolazione dei capitali che fu alla base dell’integrazione europea fin dai tempi del Trattato di Roma.

Quali sono gli stati più virtuosi riguardo alle ritenute alla fonte? Parlando per esperienza personale, la Norvegia è ottima (15% sui dividendi e 0% sugli interessi – applicate automaticamente), il Canada e gli USA allo stesso modo per quanto riguarda i dividendi, mentre l’Australia e la Nuova Zelanda si rivelano particolarmente vantaggiose (si veda di seguito).

Facendo un passo indietro, forse si riesce a capire che le ritenute estere sono sbagliate quanto qualsiasi forma di tassazione dei proventi dal risparmio. Si considera che prima di pagare un dividendo ai propri azionisti, le società hanno già pagato delle tasse a livello societario. Quindi, aggiungendo ritenute estere e imposte domestiche si arriva a tassare lo stesso reddito ben tre volte (paga la società prima di staccare il dividendo, e paga l’investitore tramite ritenute estere e imposte nel proprio paese di residenza). Ipotizziamo un reddito ante-imposte di 100 € per una società. Se questa società ha una pressione fiscale pari al 30%, avrà 70 € da distribuire ai propri azionisti. Se le ritenute sono pagabili nella misura del 15% per un azionista residente in Italia, questo percepisce 59,50 € (netto frontiera) e paga poi il 20% in Italia, per incassare un totale di 47,60 €. Sono numeri che dovrebbero far piangere, anche senza pensare al caso in cui le ritenute estere siano più alte del 15%.

Eppure un’alternativa c’è. Si pensi che in alcuni paesi gli investitori ricevono un credito d’imposta per le tasse pagate dalle società: questo avviene sia in Australia (dove le ritenute non vengono applicate ove esiste il credito d’imposta) che in Nuova Zelanda. Il meccanismo in Nuova Zelanda è leggermente più complesso: riconoscendo che l’investitore residente all’estero non riesce a utilizzare un credito d’imposta neo-zelandese, le società possono staccare un dividendo supplementare per compensare interamente le ritenute alla fonte pagate allo stato. L’effetto piacevole è che, di fatto, l’investitore residente all’estero percepisce il dividendo senza alcuna ritenuta.

E’ veramente un peccato che occorra guardare così lontano dal Vecchio Continente per rendersi conto delle follie contro cui si deve lottare.

Quanto prospettato sopra è particolarmente importante in un momento di tassi d’interesse estremamente bassi che agiscono come disincentivo al risparmio. La conclusione personale dell’autore è che sono da evitare gli investimenti in tutti quei paesi che trattano male gli investitori; ho venduto per questo motivo qualche tempo fa la Total e dei titoli di stato svizzeri, dove la ritenuta estera è del 35%!

Di investimenti da effettuare senza dover sottostare a certe regole ingiuste ce ne sono; personalmente credo che sia meglio concentrarsi su questi piuttosto che dare dei soldi in beneficenza alle burocrazie straniere.

-1- Un dividendo lordo di 100 diventa 85 per l’effetto delle ritenute estere al 15%, mentre le imposte italiane incidono per il 20% dell’85, ovvero 85 – 17 = 68 – una tassazione complessiva del 32%.

-2- Siccome i proventi esteri vengono tassati sul cosìdetto “netto frontiera”, la percezione di un rimborso di una parte delle ritenute estere costituisce un reddito da capitale che va tassato in Italia.
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Andrew Lawford
andrew@mazzieroresearch.com
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