Racconto di due piani previdenziali

Racconto di due piani previdenziali

Il titolo di questo articolo fa pensare che si andrà a esaminare le possibilità di integrare quella pensione statale che sarà sempre più magra per tutti coloro che sono ancora lontani dall’età del pensionamento. In realtà, quello che si vuole fare è segnalare una situazione sicuramente poco nota, ma che potrebbe avere un effetto non indifferente sugli investimenti azionari effettuati in società di grande capitalizzazione. Siccome la Mazziero Research consiglia l’investimento azionario come un’arma importante contro gli effetti del Financial Repression (compreso la diminuzione del valore reale delle pensioni attuali e future), è bene anche capire il più possibile le trappole che ivi sono nascoste.

Già in passato si è esaminato, in linea teorica, i criteri che applichiamo ai nostri investimenti azionari. In questo articolo andiamo a esaminare un lato negativo per l’investitore azionario: gli obblighi pensionistici delle società quotate verso i loro dipendenti (e, eventualmente, verso le famiglie dei loro dipendenti). Prima, bisogna fare una distinzione importante tra tipologia di piano previdenziale: ci sono dei piani contributivi “defined contribution” e poi ci sono dei piani retributivi “defined benefit”. In alcuni casi ci sono anche dei piani di assicurazione sanitaria; solitamente i dettagli di questi piani vengono riportati nelle note del bilancio. I piani contributivi sono, di fatto, un costo sostenuto di anno in anno da parte delle società che li offrono, e possono essere ben considerati una parte dello stipendio del lavoratore. L’impegno del datore di lavoro finisce con il versamento del contributo stabilito. I piani retributivi, invece, creano un obbligo per il datore di lavoro di pagare una pensione al lavoratore e trasformano l’azienda, che spesso si occupa di tutt’altro, in una piccola società di assicurazione. Per far fronte a questi obblighi previdenziali (che, è bene notare, sono inalienabili), la società contribuisce, di anno in anno, a un fondo d’investimento che ha lo scopo di erogare le prestazioni agli iscritti al piano. Il problema è che deve fare due stime importantissime:

  1. Il costo attuale delle prestazioni da erogare in futuro ai lavoratori.
  2. Il rendimento che ci si può aspettare dai fondi investiti di anno in anno per fare fronte alle prestazioni al punto 1.

Il risultato finale di questi calcoli, che sono piuttosto complessi e sono effettuati da parte di attuari specializzati in materia, dà un valore attuale delle prestazioni garantite e indica lo stato attuale del deficit o surplus del piano, considerando il valore del fondo costituito per fare fronte a questi obblighi.

Una domanda di buon senso potrebbe essere: ma perché mai una società che svolge un’attività manifatturiera si dovrebbe assoggettare a degli obblighi simili, considerando tutte le problematiche connesse? È più o meno la stessa domanda che abbiamo fatto per quanto riguarda le pensioni statali: siccome l’azienda (o lo Stato) non è in grado di gestire cose di questo genere, è bene che non lo faccia. Infatti, la tendenza delle società negli ultimi anni è di chiudere i piani retributivi ai nuovi partecipanti, offrendo invece soltanto dei piani contributivi. Il problema dei piani retributivi passati però continua ad essere presente, e in alcuni casi è diventato veramente importante. Per fortuna, le aziende italiane (a meno che non abbiano delle importanti controllate estere) non sono così esposte a questo fenomeno. La previdenza dei lavoratori italiani è gestita soprattutto dall’INPS; peggio per i lavoratori, ma senza dubbio un fattore positivo per le aziende stesse.

Quanto può essere l’importanza di questi aspetti previdenziali? Non dimentichiamo quello che si diceva di General Motors prima del suo fallimento nel 2009: “È un’ente previdenziale che produce anche delle auto.” La ristrutturazione aziendale avvenuta nel 2009 ha portato nell’azionariato della società, oltre che lo Stato, anche i sindacati degli operai del settore auto, diventati tra i creditori principali della GM grazie alle pensioni a cui avevano diritto.

È opportuno accendere un faro su questi problemi anche alla luce dell’ambiente di Financial Repression in cui ci troviamo: il rendimento atteso sugli investimenti effettuati oggi per far fronte agli obblighi previdenziali è un fattore importantissimo per le società che offrono i piani retributivi descritti sopra.

Vediamo nel dettaglio, facendo il confronto tra due società molto simili, sia per attività che per dimensioni: BHP Billiton e Rio Tinto, due colossi dell’estrazione mineraria con attivi totali intorno a 125 miliardi di USD ciascuno. Nelle due figure sono riassunti i dati relativi ai piani previdenziali retributivi. [1]

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È da notare che i tassi di sconto (discount rate) utilizzati per stimare il valore attuale degli obblighi previdenziali sono relativamente conservativi (più alto è il tasso e minore è il valore attuale, ovvero, un tasso di sconto basso è più conservativo), mentre esistono grandi differenze tra l’allocazione del portafoglio dei fondi a garanzia delle prestazioni previdenziali. Rio Tinto arriva quasi al 50% dell’esposizione azionaria (equity), mentre BHP Billiton è sceso sotto il 20% nel corso dell’ultimo anno. I rendimenti attesi (Plan return assumptions) sembrano relativamente conservativi, ma ci si domanda se BHP Billiton sarà in grado di generare il 4.5% l’anno con un’esposizione al mercato obbligazionario (bonds) vicino al 70%.

La cosa più importante, però, è notare il peso relativo del fondo d’investimento (Plan assets) e del deficit (Plan deficit) rispetto agli attivi tangibili della società. L’effetto su BHP Billiton anche di un totale collasso del fondo d’investimento sarebbe, se non trascurabile, perlomeno non tragico. La stessa cosa non si può dire di Rio Tinto, dove il fondo d’investimento supera il 12.5% dei suoi attivi tangibili. Considerando anche il deficit tutt’altro che trascurabile (quasi 6 miliardi di USD nel bilancio 2011), ci si deve preoccupare seriamente per la salute dell’azienda qualora il fondo d’investimento fosse colpito da rendimenti più bassi delle attese, oppure da un aumento inaspettato delle prestazioni da erogare ai lavoratori in pensione. Inoltre, si deve da notare che BHP Billiton ha chiuso i suoi piani retributivi ai nuovi iscritti, mentre Rio Tinto esprime solo la preferenza di fare iscrivere i nuovi lavoratori a forme di previdenza contributive.

Con l’analisi che è stata condotta non si vuole indicare il rischio d’insolvenza di queste aziende, che rimangono relativamente solide, ma soltanto evidenziare l’importanza di questo tema nel contesto dell’analisi finanziaria. È purtroppo più che possibile che alcune aziende verranno colpite in futuro da crisi che derivano proprio da questi aspetti che spesso vengono ignorati dagli investitori. La prassi della Mazziero Research è quella di evitare il più possibile di investire in società che abbiano garantite grandi prestazioni previdenziali ai loro lavoratori. A parità di altri fattori (e ovviamente ci sono molti altri elementi da tenere in considerazione), favoriremmo un investimento in BHP Billiton rispetto a Rio Tinto proprio per gli aspetti che sono stati qui menzionati. [2]

 

[1] Elaborazione Mazziero Research sui dati aziendali: sono riportati i dati relativi alla fine dell’ultimo anno fiscale delle società (31/12/2011 per Rio Tinto e 30/06/2012 per BHP Billiton). Alcuni dati poco significativi sono stati esclusi, mentre altri dati sono approssimativi per permettere il confronto tra le due società.

Le due fonti sono:

Annual Report 2012 BHP Billiton; nota 29 alla pagina 227

Financial Statements 2011 Rio Tinto; nota 47 alla pagina 201

[2] Questa affermazione non deve essere intesa come un consiglio d’investimento, bensì un esempio pratico del problema delle pensioni.

Disclosure

L’autore di questo articolo detiene le azioni di BHP Billiton in portafoglio.

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Andrew Lawford
andrew@mazzieroresearch.com
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