I nuovi soci della Banca d’Italia

I nuovi soci della Banca d’Italia

Riportiamo qui l’articolo sui nuovi soci della Banca d’Italia pubblicato nel XXVII Osservatorio sui dati economici italiani, dove Andrew Lawford si interroga sulla congruità della capitalizzazione della banca centrale e sull’opportunità delle partecipazioni dei soci nel capitale.

Più che un’analisi la si può considerare una vera e propria inchiesta degna delle prime pagine dei giornali e lascia aperti molti più interrogativi di quante risposte riesca a individuare. Potrebbe essere una ghiotta occasione per uno scoop, vedremo se la carta stampata saprà cogliere questa opportunità.

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Abbiamo già avuto modo in passato di esaminare la partecipazione delle banche italiane nel capitale di Banca d’Italia: si veda in particolare l’Osservatorio “Italia economia a fine 2013” (pagine 33 – 35), in cui si è cercato di stabilire un valore ragionevole per la banca centrale italiana. È stato un compito piuttosto difficile, considerando la funzione di importanza pubblica svolta dall’Istituto. Inoltre, dare un valore ad una banca centrale che è partecipata dagli stessi soggetti (le banche italiane, appunto) su cui questa deve vigilare apre una serie di domande a cui difficilmente si trova risposta.

Quell’esercizio di stimare un valore per la Banca d’Italia nel 2013 era scaturito in seguito alla decisione di stabilire per legge un valore di 7,5 miliardi €; si è visto che quel valore era molto diverso rispetto alla SNB (la banca centrale elvetica), che ha la particolarità di essere quotata in borsa. La differenza non era di poco conto: se la Banca d’Italia fosse stata valorizzata con gli stessi parametri della SNB, avrebbe avuto all’epoca un valore intorno a 220 milioni €! Oggi, la SNB si è rivalutata in maniera importante, ma nonostante il rialzo evidente nel Grafico 1, ha una capitalizzazione di mercato inferiore a 400 milioni CHF.

Quotazioni SNB lungo termine

Grafico 1: Andamento di lungo termine della SNB (la banca centrale elvetica)
Fonte: Thomson Reuters

Tuttavia, la decisione fu presa e 7,5 miliardi € diventò il valore. L’altra parte della disposizione di legge cercava di ridurre il peso del singolo azionista ad un massimo del 3%. La spinta per dismettere la quota della partecipazione oltre questa soglia è stata data dal fatto che, a partire dal 2017, i dividendi di spettanza dei soci sarebbero stati pagati solo sulle partecipazioni inferiori al 3%; l’eventuale eccedenza andava persa, o meglio, rimaneva “in azienda”. Allo stesso tempo, per incentivare la riduzione delle varie partecipazioni entro la soglia del 3%, si decise di ampliare i soggetti idonei a detenere le azioni della banca centrale, oltre addirittura a fornire un servizio di “market-making” per agevolare gli eventuali passaggi.

A distanza di 4 anni, si può ritenere che qualche cambiamento è stato fatto all’assetto societario della Banca d’Italia, come evidenziato nella Tabella 1.

 

Nuovi soci Banca d'Italia

Tabella 1: Evoluzione assetto societario – Banca d’Italia
Fonte: Banca d’Italia

Balza subito all’occhio il fatto che il numero di soci è aumentato da 60 a 115, grazie all’ingresso di nuove categorie di investitori. In particolare, la presenza di fondi pensione, come INARCASSA che ha acquistato fino al limite del 3%. Le motivazioni di INARCASSA sono spiegate nella relazione al bilancio 2015 (INARCASSA, Bilancio Consuntivo 2015; pag. 30):

“L’investimento, di lungo periodo, è caratterizzato da un elevato livello di solidità e da valide prospettive reddituali: il suo profilo “rischio-rendimento” è compatibile con il ruolo e gli obiettivi di un investitore istituzionale stabile e proiettato sul lungo periodo. L’acquisizione di quote azionarie anche da parte di altre Casse di Previdenza costituisce un’iniziativa, unica nel suo genere, che ha consentito al comparto di detenere oggi oltre il 10% del capitale di Bankitalia.

“La qualità degli interlocutori coinvolti, le dimensioni dell’operazione, il contesto nel quale ha preso forma e si è svolta, ne fanno un investimento di straordinaria importanza nel panorama economico e finanziario italiano: importante per la Banca d’Italia, per le Casse e per l’economia del Paese. Un investimento a fronte del quale, per la prima volta, gli enti di previdenza privatizzati si sono uniti per compiere un’operazione “di sistema”.”

Tante belle parole, ma che cosa significano esattamente? In che modo il trasferimento di una quota della Banca d’Italia da un vecchio socio ad uno nuovo, quando nessuno dei due può influenzare la gestione dell’Istituto, può essere considerato “… di straordinaria importanza nel panorama economico e finanziario italiano…”? Inoltre, perché la Banca d’Italia aveva bisogno di un’operazione “di sistema”?

Ancora più interessante è veder spuntare nuovi soci come i fondi pensioni del Gruppo Intesa Sanpaolo o del personale di Unicredit. Anche la presenza della Compagnia di San Paolo e la Fondazione CARIPLO fa pensare che l’assetto societario non sia stato cambiato così radicalmente.

Forse la vera spiegazione la si può trovare nella propensione della Banca d’Italia di pagare dividendi interessanti: l’investimento ha reso circa il 4,5% nel 2017, un livello piuttosto interessante considerando l’attuale andamento dei tassi d’interesse per i titoli di Stato. Siccome il monopolio della Banca è quello della produzione di denaro, non ci sarebbe da stupirsi se questo flusso di dividendi fosse quasi garantito anche nel futuro. La bontà dell’operazione per i nuovi soci è evidente quando si considera che anche la Cassa di Risparmio dei dipendenti della Banca d’Italia ha comprato più dell’1,5%; si presume che i dipendenti della banca abbiano modo di valutare correttamente l’opportunità.

In questa evoluzione della Banca d’Italia, non si riescono a trovare le risposte a numerose domande importanti:

  1. Perché la Banca d’Italia dovrebbe essere detenuta da enti non-governativi?
  2. Se la banca deve comunque avere dei soci privati, perché non quotarla come la SNB? Offrire il rendimento preferenziale generato da un ente di natura pubblica come la Banca d’Italia solo a pochi soci del settore finanziario pare più che altro un modo per regalargli dei soldi in maniera poco trasparente.
  3. Perché le banche in dissesto, come Banca delle Marche, Carige o MPS si sono potute tenere invariate le partecipazioni? Realizzare il pieno valore di un attivo così inutile poteva creare risorse liquide che altrimenti dovevano essere reperite in condizioni poco favorevoli.
  4. Se la Banca d’Italia dovesse aver bisogno di capitale in più, magari a causa del saldo negativo nel sistema TARGET 2 (attualmente intorno a 400 miliardi €), gli attuali soci, che godono del privilegio di poter investire nell’Istituto, saranno pronti a sottoscrivere quanto necessario?

Nota: Per una spiegazione del TARGET 2, si veda l’Osservatorio “Italia economia a fine 2016”, pag. 30. In particolare la dichiarazione del Governatore Draghi della BCE: “Se un paese lasciasse l’Eurosistema, i crediti e le passività della sua banca centrale nazionale nei confronti della BCE dovrebbero essere regolati integralmente”.

Qui è possibile scaricare il XXVII Osservatorio sui dati economici italiani Italia: economia a metà 2017

 

Copertina Manuale Investitore Consapevole

 

 

IFTA 2017

 

 

 

 

 

Maurizio Mazziero
maurizio@mazzieroresearch.com

Fondatore della Mazziero Research, socio Professional SIAT (Società Italiana di Analisi Tecnica), si occupa di analisi finanziarie, reportistica e formazione. Partecipa al Comitato di Consulenza di ABS Consulting, collabora con OROvilla per le dirette social settimanali e la redazione del mensile ORONews. Autore di numerosi libri, fra cui “Investire in materie prime” e “Guida all’analisi tecnica”, viene spesso invitato come esperto di mercati ed economia in convegni, seminari e programmi radiotelevisivi; pubblica trimestralmente un Osservatorio sui dati economici italiani.

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